Gli Albani
PRINCIPI DI SORIANO AL CIMINO E DEL SACRO ROMANO IMPERO
L’eccellentissima Casa Albani trae origine da un certo Michele de’ Lazj, che pervenne nelle Marche dall’Albania nel 1468 accompagnato da due figli, Giorgio e Filippo, che nel Paese balcanico avevano militato con l'eroe albanese Giorgio Castriota Scanderbeg (†17 gennaio 1468), opponendosi eroicamente ma vanamente all'invasione ormai inarrestabile dei Turchi guidati dall'inflessibile Sultano Maometto II. Poiché i Lazj erano fondamentalmente degli uomini d'arme, dopo aver onoratamente servito nell'esercito di Roberto Malatesta Signore di Rimini, verso il 1471 si trasferirono in Urbino attrattivi dalla prospettiva di poter conseguire migliori condizioni d'ingaggio militando sotto le insegne feltresche, che all'epoca rappresenta vano uno dei migliori eserciti della penisola italiana.
Pare sia stato un figlio di Giorgio de' Lazj, Altobello, a fissare nel cognome Albani il soprannome di Albanesi col quale erano comunemente designati i membri della sua famiglia, la quale seppe ben presto conquistarsi la stima e la fiducia dei Duchi d'Urbino non solo in campo militare, ma forse ancor più in àmbito burocratico-amministrativo e soprattutto nel più specialistico settore politico-diplomatico, tanto che nel secolo XVII la famiglia Albani poteva annoverare tra i suoi componenti numerosi elementi dediti con notevole successo a diverse carriere, da quella militare più squisitamente avita, a quelle giurisprudenziali, politiche, cancelleresche ed ecclesiastiche.
Si può affermare che appena poco dopo un secolo dal loro arrivo a Urbino, gli Albani avevano raggiunto una ragguardevole posizione sociale ed economica; soprattutto avevano conseguito una notevole considerazione negli ambienti della Corte ducale, la cui Cancelleria si avvaleva continuamente della loro avveduta e sagace competenza nel disbrigo di complessi incarichi politici e di delicati rapporti diplomatici, sovente estremamente intricati e macchinosi come la missione diplomatica affidata ad Orazio Albani dal vecchio ed estenuato Francesco Maria II della Rovere, ultimo Duca d’Urbino, che sapeva attesa la sua immancabile fine per far cessare con essa la libertà dei suoi popoli, garantiti appena dalla sua residua sovranità già sul punto di estinguersi.
Il vecchio Duca, pur conscio dell'ineluttabilità degli eventi, affidò ad Orazio Albani il delicato negozio del trapasso dei poteri nella Devoluzione dello Stato d’Urbino alla Santa Sede e l'avveduto diplomatico urbinate fu così abile da non disgustare il suo sovrano col suo operato e allo stesso tempo di farsi talmente apprezzare dal Papa Urbano VIII, il quale, dopo la morte del Duca e l'avvenuta Devoluzione nelle forme e nei modi più pacifici, lo chiamò a Roma per affidargli l'ufficio di Senatore dell'Alma Urbe dal 1633 al 1645.
Fu proprio l'estrema prudenza e perizia diplomatica e amministrativa di Orazio Albani a segnare una svolta decisiva all'ascesa "romana” della famiglia, che, dopo la Devoluzione dello Stato d’Urbino, seppe inserirsi proficuamente con incarichi di rilievo nei complessi ingranaggi del governo pontificio e nei sottili rapporti diplomatici della Santa Sede.
Orazio Albani fu padre di numerosi figliuoli, molti dei quali morirono in tenera età o estremamente giovani; tra i superstiti due sono degni di nota: Annibale, Dottore in Utroque Iure, cioè in Diritto Civile e Canonico, nel 1640 a Roma rivestì la carica di Primo Custode della Biblioteca Apostolica Vaticana e di Datario della Sacra Penitenzieria; Carlo, invece fu Maestro di Camera del potente Cardinale Francesco Barberini e fu padre del Cardinale Giovan Francesco Albani, che il 23 novembre 1700 fu esaltato al sommo pontificato col nome di CLEMENTE XI.
Tra i figli del fratello del Papa, Orazio Albani, un posto ragguardevole occupano i due fratelli porporati, il primogenito Cardinale Annibale (1682 1752) e l'ultimogenito Cardinale Alessandro (1692-1779). Annibale è ancor oggi nel cuore degli Urbinati “veraci” perché si mostrò sempre particolarmente affezionato a Urbino, ove inaugurò quella magnifica stagione nota come “secondo Rinascimento urbinate”, munificamente promossa dal porporato, che durante tutta la sua vita continuò instancabilmente a favorire il cospicuo arricchimento del patrimonio artistico della città, sostenendo spesso a sue spese tutte le imprese atte al rinnovamento del volto deturpato di Urbino, soprattutto i progetti orientati al restauro o avviati al recupero di edifici civili e religiosi ormai in completa decadenza o in colpevole abbandono. Alessandro, invece, per la sua passione per l'archeologia e l'antiquaria in genere è più noto al di fuori dell'àmbito strettamente urbinate: a Roma la sua munifica liberalità e soprattutto la protezione accordata a Johann Joachim Winckelmann, che fece nominare Prefetto delle Antichità, dette origine a quelle eccezionali raccolte archeologiche che formano il nucleo fondamentale del Museo Capitolino e della Villa Albani sulla Via Salaria.
L'ultimo ragguardevole personaggio della famiglia è stato il Cardinale Giuseppe Albani (1750-1834), che nella Curia romana e nel governo pontificio rivestì con irreprensibile competenza non pochi incarichi di grave responsabilità. Egli resse tra l'altro la Prefettura del Dicastero del Buon Governo (una specie di Ministero dell'Economia), fu Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, Segretario di Stato di Papa Pio VIII, Commissario Straordinario delle Legazioni di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì ed infine Legato Pontificio (cioè Governatore) della Legazione di Urbino e Pesaro. Sognando di poter trascorrere nella sua Urbino almeno un po' d'anni dell'estrema vecchiaia, affidò all'architetto Pietro Ghinelli la costruzione di una casa prospiciente.
Con la Morte del Principe Don Filippo Giacomo, avvenuta nel 1852, si estinse la famiglia Albani, il cui nome, titoli e uso dello stemma fu assunto per successione dal Principe romano Don Sigismondo Chigi della Rovere, che per decreto pontificio si denominò Chigi Albani della Rovere con diritto di trasmissione ai legittimi discendenti.
L'onore di fregiarsi del cognome e dello stemma Albani è stato assunto anche dalla nobilissima Casata lombarda dei Conti di Castelbarco discendenti dal matrimonio del Conte Carlo Castelbarco con Antonia Litta Visconti Arese, a sua volta figlia del Duca Pompeo e di Elena Albani. Dal matrimonio del Conte Don Carlo Castelbarco con Antonia Litta Visconti Arese nacque Don Cesare (Milano 5 marzo 1834 – ivi 2 gennaio 1890), al quale derivò dalla nonna materna il cognome e lo stemma degli Albani e dalla madre il cognome Visconti-Simonetta, dando origine al ramo dei Castelbarco-Albani-Visconti-Simonetta tuttora fiorente alla piazza della città: è il cosiddetto Palazzo Nuovo, commissionato nel 1831, ma non terminato prima della morte del porporato, il quale aveva comunque provveduto con disposizione testamentaria che l'edificio fosse completato a spese degli eredi, ai quali era fatto anche obbligo di cederlo compiuto alla Comunità di Urbino in favore dell'istituzione educativa ubicata nel palazzo di fronte e fondata dal suo prozio Papa Clemente XI, il celebre Collegio retto dai Padri Scolopi, perché con le rendite ricavate dal suo immobile vi fossero mantenuti gratuitamente agli studi alcuni vittori bisognosi, ma eccellenti nell'apprendimento.